Pensioni e speranza di vita, dall’Inps ipotesi irricevibili

«È il progetto di chi vuol fare l’Italia a spezzatino, in cui salta ogni criterio di omogeneità . Di chi vuole distrarre l’attenzione dal problema, ovvero fare la riforma delle pensioni dando risposta alle istanze che da tempo abbiamo presentato». Le parole sono del segretario dello Spi Cgil Fvg, Roberto Treu, e si riferiscono all’ipotesi di riforma del sistema pensionistico avanzato dall’Inps, quello di perequare gli assegni pensionistici alla speranza di vita dei lavoratori e del luogo in cui vivono. Quello dell’Inps per ora è solamente uno studio, inviato al governo in vista di una prossima riforma del sistema previdenziale. L’elaborato sostiene che il “peso” delle pensioni dev’essere inferiore per chi ha di fronte a sé un’aspettativa di vita più lunga. Quindi chi, dati alla mano, può aspettarsi più anni con l’assegno pensionistico, deve percepire meno soldi al mese rispetto a chi invece – per lavoro e provenienza geografica – ci si aspetta che viva di meno. Una scelta che danneggerebbe i pensionati del Friuli Venezia Giulia, fra i quali è già  scattato l’allarme rosso. In regione vivono 354.515 pensionati, dei quali il 52 per cento (poco più di 185mila) sono donne. Il Fvg è la regione che dopo il Trentino Alto Adige ha l’aspettativa di vita femminile più alta, con una media di 21,2 anni dopo il raggiungimento dell’età  pensionabile. Se passasse questo criterio, sarebbero quindi a rischio ribasso gli assegni di più di 180mila donne, con un peso notevole per chi rientra in una classe di reddito pensionistico medio bassa. Meno pesante l’impatto sulla popolazione maschile regionale, che dopo il raggiungimento dell’età  pensionabile ha di fronte in media 17,8 anni di vita. 
Una misura che come detto incontra il deciso no dello Spi Cgil. «Si è di fronte a una deriva pericolosa – dice ancora Treu – anche perché non è detto che nelle aree in cui si vive di più non ci siano altri problemi. E in ogni caso, salterebbe un principio cardine: la pensione, ancor più ora con il metodo contributivo, è legata ai contributi che ciascuno ha versato con il proprio lavoro. Inoltre è logico che anche all’interno delle singole regioni si scateni il dibattito sulle differenze tra aree e aree. Vivere sul Carso o in centro città  a Trieste, per esempio, fa una bella differenza rispetto all’aria che si respira ogni giorno. Si tratta insomma di un modo sbagliato di impostare la riforma delle pensioni, il Governo non vuole fare la riforma su cui abbiamo presentato idee precise. La nostra proposta prevede invece la flessibilità  in uscita con la consapevolezza da parte del lavoratore che la percentuale della pensione che riceverà  è legata al momento della chiusura del rapporto di lavoro. Inoltre il tipo di lavoro, i turni e l’orario sono condizioni che pesano nella stessa maniera sulla vita di una persona, indipendentemente dalla posizione geografica. Vanno determinati con ancor maggior precisione i lavori usuranti e prevedere per questi un anticipo di pensione, come per altro già  è previsto per alcune tipologie di occupazione. Tra pensione e tipologia di lavoro c’è netta correlazione e più il lavoro è usurante, più l’aspettativa di vita può essere minore».